In qualche modo, adesso che le playlist e le app hanno preso il sopravvento, tutti facciamo i deejay. Solo alcuni scrivono, da deejay. Sofri lo fa benissimo. Con profondità e leggerezza, perché in fondo “it’s only rock’n’roll” o soltanto, come dissero Jannacci e Bennato, “canzonette”.
Lui non è un mio amico, perciò scrivo disinteressatamente. Forse un secolo fa gli combinai un incontro fugace con Morgan al tavolo di un ristorante. Forse lo ricorda, forse no. Del resto era fugace.
Quel che ricordo io è che Sofri era accanto a me, a Milano, sulla balconata dell'Alcatraz, alcune settimane fa.
Pensai: starà facendo ancora raccolta di canzoni? Sotto di noi i Counting Crows, che ne hanno azzeccate parecchie negli ultimi trent'anni e più, anche se la critica (soprattutto quella americana - fuoco amico) è un po’ così.
Ora mi arriva questo “Playlist 2025”, che di canzoni ne riporta 3485. Quelle di allora più altre 959, per la precisione.
Cosi, senza scartare quelle già lette, ché sarebbe da pazzi, sono ripartito da zero. sempre con piacere.
Con piacere. Perché trovare qualcuno che sente come te, pondera, riflette, rimugina, si intestardisce come te su quelle cosette che durano due, tre, quattro minuti e che talvolta cambiano la vita, ti regala un senso di compagnia. Dicono che a fare tutti insieme quel viaggio tra ricordi, potenziometri, libretti illeggibili, vinili ondulati, saltelli e malinconie varie sia parecchio più bello.
Tutto il bene possibile l'ho lasciato intuire, andate e comprate il libro senza indugi, perché è tutto sentito, ponderato e rimuginato con testardaggine, come allora, solo che le canzoni sono aumentate e, come scrive l'autore nelle 21 pagine introduttive (ce ne sono altre 663 di appunti saporiti sulle canzoni scelte e c'è il generoso indice casomai voleste cercarne una a lettura finita, o a metà, o subito), ci sono state rimozioni e correzioni, perché anche delle canzoni ci si può stancare, anche le canzoni invecchiano, e non sempre bene.
Quello che segue trascuratelo se volete, perché si tratta di un noioso elenco di curiosità più rivolte al sapiente autore che a voi che leggerete. Non mi sogno di muovere critiche, sono solo le osservazioni di uno che gradirebbe leggerle se avesse analizzato 3485 canzoni e in qualcuna, solo qualcuna, si fosse distratto.
Tra un'osservazione e l'altra si nasconde l'elogio.
Caro Luca Sofri,
ci vuole un bel coraggio a piazzare sei canzoni degli A-ha tenendo fuori “Take on me”, l’unica universalmente conosciuta. Ma capisco sia voluto, anche perché accade per altri nomi.
Adele, ad esempio: sei canzoni e niente “Hello”? E "Rolling in the deep"?
Tranquillo, ti scrive uno che ha pubblicato un libro sulla canzone d'autore americana. Circa 200 nomi citati, da Adams, Ryan a Zevon, Warren, e ancora mi scrivono, vent'anni dopo, minacciosi, "e Elliott Smith?".
Viva la soggettività.
È simpatica la ricerca delle tante canzoni di De Gregori che prevedono il passaggio di qualcosa: del tempo, del "tram di mezzanotte", delle donne che "vanno e vengono nel porto di Buenos Aires" ecc. Ma dov’è “Cose”? (“Come io e te che stiamo a guardare / Tutte queste cose, passare”).
Hai fatto bene a definire i Blondie, mirabilmente descritti in sole sette righe e mezza, una band proficuamente curiosa, e benissimo a non commentare “Maria”, la loro peggiore pop song.
Oltre ai Blue Nile e a Carosone hanno avuto a che fare con Toledo, la città, anche Costello e Bacharach. A proposito, ma Burt Bacharach?
Mettere “The Road” in relazione con Jackson Browne (che ne fece una bellissima versione, certamente “la” versione) senza dire che non l’ha composta lui ma Danny O’Keefe è strano assai.
Evviva i guilty pleasures di cui molti si vergognano. Thumb up per le ballatone dei Chicago (quelle tra il 1976 e il 1982) e quasi tutto Baglioni. Quando ci vuole ci vuole.
Evviva le canzoni dove si parla di Bologna (Guccini) e del Bologna (Carboni, Cremonini) o in cui, fatto più raro, un bolognese (Dalla) si lascia sfuggire una frase su Milano. Evviva le nostre città cantate, quando le cantano come si deve.
Yvonne Elliman il suo gran momento di celebrità prima di cantare con Clapton “Let it grow” (1974) lo aveva già avuto, essendo stata la Maria Maddalena di "Jesus Christ Superstar" (1973). La botta di "Saturday Night Fever" (1977) fu solo un ritocco alla sua visibilità.
E va bene che quando si parla di canzoni diventa tutto soggettivo, ma per Lou Reed tre dal discreto "Ecstasy” e nessuna dallo spettacolare "New York"? Nemmeno una "Dirty Blvd." per sbaglio?
Ti aspetterò tra vent'anni con Playlist #3. Per verificare se saremo riusciti a trovare altre 1000 canzoni degne di nota. Io qualche dubbio lo nutro.
E se ho scritto qualcosa di contestabile, ci si vede presto in balconata.
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