lunedì 4 ottobre 2010

STEVE WINWOOD A ROMA - Luci e ombre di Mister Traffic


Steve Winwood è un signore che porta molto bene i suoi anni. Per questo sarò semplicemente severo ed esigente con lui e non compassionevole. Steve Winwood è quello che nel 1965, a soli 17 anni, ha composto "Gimme Some Lovin'". Per questo è una leggenda.

Dunque Steve Winwood è una leggenda che non va trattata come una leggenda sfiorita ma come un musicista integro e ancora capace di intendere e di volere, condizione che alcuni suoi coetanei reduci e consumati da quei tempi lì (tempi di un rock primitivo e molto dispendioso per chi lo praticava) non possono più permettersi.

Avevo visto Winwood, la leggenda dello Spencer Davis Group, ma anche dei Traffic e dei Blind Faith (praticamente tre leggende in un uomo solo), pochi mesi fa ad Istanbul. Era la mia prima volta e fino a oggi anche la mia unica davanti a questo genio dell'organo Hammond e non solo. Divideva tour e palco con Eric Clapton, ma quando dividi tour e palco con Eric Clapton per bravo che tu sia finisci per fare l'ospite. I due infatti alternavano le proprie canzoni, spalleggiati dalla band di Clapton, con un rapporto di uno a quattro in favore di Mister Manolenta. Così di spazio per Winwood non ve n'era granchè. Ero pronto a godermi una serata tutta sua, a cinque minuti di Vespa da casa mia, senza arrivare fino al Bosforo questa volta. Ho solo dovuto saltare il Tevere all'altezza di Corso Francia.

Qualcosa però non ha funzionato completamente. Ottimo l'avvio, adeguata la band, almeno per i pezzi svolti con attenzione nella parte alta della scaletta (bella Can't Find My Way Home, manco a dirlo, bravo all'organo e alla chitarra la nostra leggenda, che è cantante sopraffino e anche questo si sa). Poi ha prevalso un imprevisto, inadeguato, invadente tessuto ritmico latino che mi ha fatto pensare a tratti più a Santana che al classic rock. Passi che la band mancava di un basso (assenza grave), passi che di "John Barleycorn Must Die" si vendeva solo la t-shirt, passi che quella grandeur un po' pop da alta classifica anni Ottanta era impraticabile, passi che di conseguenza, di "Arc of A Diver", "While You See A Chance", "Valerie" e "Roll With It", figlie di un pop cher non si fa più, nemmeno l'ombra, ma il trattamento vagamente cubano riservato sul finire a "Higher Love" quello no, anche perchè ha chiuso lo show veramente in calando.
Sarebbe servita un'altra tastiera a supplire all'assenza di uno straccio di sezione fiati (bravo ma un po' perso e solo il sassofonista) e un paio di coriste avrebbero riscaldato la scena e alcune canzoni.


I brividi procuratici da "Dear Mister Fantasy" (con Carlo Massarini una fila dietro di me a scattare foto e a rivedere il film della sua memoria) sono svaniti quando è arrivata una "Gimme Some Lovin'" un po' stiracchiata e priva di quel calore che anche un'oscura cover band dei Blues Brothers sa dargli in qualche birreria del Tuscolano (quartiere di Roma collocato a sudest, per chi non sapesse).
A tutto ciò aggiungi che gli Auditorium progettati da Renzo Piano non sono la migliore alcova per un amplesso a base di rock e soul ma delle linde e un po' freddine sale più adatte alle orchestre sinfoniche che agli amplificatori Fender e Marshall.

Ora mi metto "Glad", mi vesto di bianco e per andare a dormire percorro il corridoio come faceva Mister Fantasy, quello della tivù.
Lo faccio per non pensare a una serata che ha funzionato solo a metà. Ma so che da domani tornerò ad amare Steve Winwood - la leggenda - come ho sempre fatto, dimenticandomi il parsimonioso artista incontrato questa sera.

(le foto sono di Filippo De Orchi)

UPSIDE DOWN - il mondo (del calcio) si è rivoltato



Sarà che la palla è rotonda (e, nel caso della Serie A di quest'anno, anche un po' bruttina: il modello è Nike T90 Tracer, se proprio volete farvi del male). Sarà che ormai tutto gira un po' all'incontrario. Sarà quel che sarà (data l'ora e l'incazzatura, cito la bassa filosofia da Festival di Sanremo). Sarà che a noi della Roma ultimamente l'inizio del campionato non è che sia "na passeggiata de salute". Insomma, sarà forse per qualche strana congiuntura astrale, ma a noi di cuore giallorosso tocca vedere l'aquila della Lazio, una vera aquila, dicono allenata da un portoghese (un allenatore vero e serio, niente a che vedere con i "portoghesi" che non pagano il biglietto allo stadio), volare alta nel cielo dell'Olimpico. Più o meno quello che fa la Lazio di bianco e azzurro vestita, quella dei calciatori, nella classifica della Serie A dopo cinque giornate.
Ora, ditemi voi. Passi per la Lazio prima, che si sfoghi ora, tanto non c'è trippa per... aquile, ma Chievo, Brescia, Bari e Catania che ringhiano dietro le prime quattro? E' mai possibile?
Il tutto mentre Sampdoria, Parma, Fiorentina e Roma stanno là sotto a fare sentire meno sola l'Udinese che chiude la fila con 4 punti.
Il mondo del calcio si è proprio rivoltato (per ora).