sabato 2 aprile 2011
JESSE MALIN - Profumo di Bowery - St.Marks Social in Italia fino al 9 aprile
Jesse Malin sta attraversando l'Italia, con la forza dei suoi 43 anni, troppi per quello che gli vediamo fare sul palco. Diciamo che la sua età è ferma a 34, gli inverni che aveva accumulato nei giorni in cui registrava il suo primo disco da solista, "The fine art of self distruction" (uscito nel 2003). A 34 anni Dylan pubblicava "Blood on the tracks", Springsteen si era da poco messo alle spalle "Nebraska", Neil Young scriveva "Rust never sleeps", Tom Petty portava in giro le canzoni rabbiose di "Long after dark" e John Mellencamp, che l'Italia vedrà finalmente presto (a luglio), faceva girare sui nostri piatti "Scarecrow".
Jesse Malin è tosto, intenso, clamorosamente convincente come quei cinque campioni nei loro giorni migliori.
Lo è perchè è energico, credibile, pienamente nei suoi panni come se stesse ancora promuovendo il primo disco, e invece se ne contano 7/8 tra full album e qualche mini. In meno di dieci anni, da quando ha messo a riposare i D-Generation, cellula quasi punk fuorisucita dalle strade intorno alla Bowery di New York (ma da quella band è tornato con lui l'eccellente chitarrista Ted Hutt), Malin non ha spostato di un millimetro la sua direzione e la velocità di crociera è quella di allora, se non superiore. Sentiamo che non diventerà una big star come quelle citate sopra, suoi mentori e in qualche caso amici (Bruce lo avveva affiancato in "Broken Radio" qualche anno fa), ma è confortante sapere che c'è ed è così, perchè concerti come il suo sono merce rara.
Ho pensato tutte queste cose ieri sera, al Big Mama di Roma (prima di sette tappe italiane), mentre quelle pareti registravano un numero di decibel al quale non sono abituate, e il pubblico si coccolava quell'ometto nervoso e romantico che si porta addosso, indelebile, l'anima della sua città e il tanto rock che questa ha prodotto, soprattutto a cavallo tra la metà degli anni Settanta e quella del decennio successivo, dieci lunghe stagioni in cui Manhattan aveva i più bei club (Ritz, Bottom Line, Lone Star Cafè - tutti spariti) e i più bei negozi di dischi del mondo.
Jesse sa, sente - stretto nella sua giacca nera e nella sua t-shirt della Motor City - di essere a suo modo un sopravvissuto, la corteccia caduta di una quercia che non esiste più, polverizzata dall'11 settembre, dalla recessione di qualche anno dopo e dalla galoppante fantasia di chi un passo dopo l'altro sta ammazzando della musica tutti i supporti fisici. Non arriva a caso l'invito a frequentare i pochi negozi indipendenti di dischi rimasti nel Greenwich Village (e nei Village di altri angoli di mondo), perchè "lì si compra musica che non pensereste di comprare - dice Malin - la si scopre, la si annusa, si conoscono persone, con cui poi può anche capitare di farci l'amore, capito?, tutto quello che non accade davanti al computer e a un negozio virtuale". Parole dal palco che suonano uguali a quelle scritte dentro "On Your Sleeve", l'album di cover del 2008, che "non mi ha fatto guadagnare nulla perchè – come dice il mio manager – se non scrivi le tue canzoni, la busta con l'assegno che arriva agli autori ogni tre mesi è leggera, maledettamente leggera", ma che "mi ha fatto ricevere in segreteria le chiamate più inaspettate, dai miei amici della high school che ora vivono chissà dove, e da qualche vecchia fiamma, perchè ho cantato le 'loro' canzoni, quelle che avevano comprato in quel genere di negozi, con tutto quel che ne conseguiva quando ci entravano".
Nel suo primo show italiano di questo "tour de italia", Malin non ha dimenticato le cover dei brani che lo hanno formato (stre-pi-to-sa la conclusiva "Instant Karma", del primo Lennon post Beatles) ma ha soprattutto rovesciato con una buona dose di violenza sul pubblico le canzoni dei suoi dischi, da "Wendy" a "Hotel Columbia", da "Cigarettes & violets" alle ultime - racchiuse in "Love it to life" - come "Burning the Bowery", "All the way from Moscow" e "Disco Ghetto".
Band perfettamente calata nel suono i St.Marks Social, e dall'abbigliamento giusto (un possibile ponte tra i Knack, i Cars e i Bad Brains). Chitarre Gibson pompate a dovere dai Marshall, sprazzi di new wave e docili ballate col pianoforte, una stella al centro del palco che vorresti portartela a casa tanto è brava a farti riassaporare una pietanza che pare sparita. E' una bella fortuna avere l'occhio per accorgersi che qualcosa di forte sta tornando a succedere, e non rimanere a casa a recriminare. Un vecchio-nuovo vento spira grazie a giovanotti che da ogni latitudine (Malin - la stella - poi i Gaslight Anthem, gli Hold Steady, Mumford & Sons, i Decemberist, e ci metto anche gli inglesi Beady Eye di Liam Gallagher) ci stanno portando un nuovo grunge, che col grunge poco ha a che fare ma che parla la stessa lingua, ha la stessa indomabile forza rigenerante.
Io mi sono sentito un trentaquattrenne di fronte alle canzoni e al sudore di Jesse Malin, e non c'è denaro che possa comprare questa sensazione.
Se siete a un tiro di schioppo da Dozza, vicino Bologna, catapultatevi immediatamente al Teatro Comunale. Per tutti gli altri, sempre che il messaggio sia giunto chiaro e abbia fatto centro, restano 5 date, che non sono poche, fino al 9 aprile: Casalgrande, Cantù, Trieste, Valgardena, Chiari.
Rocking the Bowery. Si, si può anche qui. Basta esserci. Perchè le emozioni raccolte di persona restano più di un volonteroso racconto.
Grazie a Filippo De Orchi per le foto.
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