LOVE AND EMOTION
La storia di Willy De Ville
Ho scritto su Willy DeVille meno di
quanto avrei voluto. Ma l'ho amato molto. Un libro su di lui - "Love and Emotion" - una storia di Willy DeVille, di Mauro Zambellini - mi rende
felice, soprattutto se arriva da chi su questo artista ha scritto tanto. Si
tratta di un duplice beautiful reward.
Allora lascio suonare "Little
girl", gemma del 1977 speziata di Spector e Springsteen, e mi
calo nella lettura, sorprendendomi delle tante cose che non sapevo di
quel giovanotto del Connecticut fuggito un giorno a New York per
trovarsi una parte più affascinante di quella che Stamford gli
avrebbe potuto risevare nel grande film della musica d'autore.
Perchè di un autore con la A maiuscola
parla questo libro, anche se a uno sguardo superficiale, ciò che
resta di Wiliam Paul Bersery Jr. - ora che c'è una data , il 6
agosto 2009, a chiudere le tende in velluto rosso di una vita
difficile - è un profilo da eccentrico intrattenitore, magro come
una sardina, tanto kitsch quanto elegante, ora sul cranio un
pompadour vistoso ora uno scalpo da nativo americano.
Le canzoni. Parliamone.
Era andato – Willy - a cercarsi la
vita, la vera vita, nella città dei Drifters che lui amava tanto, e
lì è finito nell'appartamento di Doc Pomus, uno che di canzoni se
ne intendeva avendone scritte per Elvis, Dion e i Seachers, a
comporne delle altre, insieme al suo mito.
Questo testimonia il valore dei tanti
hit minori (si, minori in quanto di pochi, "nostri", di
chi lo ha amato) che potreste trovare incastonati oggi in una
raccolta di questo autore se aveste la fortuna di trovarla in qualche
negozio.
"Spanish Stroll" rimbomba
come fosse il disco di un Lou Reed ubriaco di Fifties rock e mi
chiedo, al pari dell'autore del libro, come mai non ci sia stata una
ricompensa, nessun atto d'amore collettivo se non sporadiche cover
(Boz Scaggs di recente, ammirevole con "Mixed up, shook up
girl") verso questo talento. Una serata in un bel teatro
newyorckese, non dico un album tributo.
Il fatto triste è anche che tutti quei
"teatri" che l'hanno visto all'opera sono caduti come vasi
di coccio in frantumi. Sparito il CBGB's, sostituito da una banca il
Bottom Line, niente Ritz, un ricordo lontano il Savoy.
Quando ci entrai la prima volta, nel
1982, al Savoy, mi tremavano le gambe per l'emozione e per i postumi
di una bronchite messa a tacere perchè in quell'inverno c'erano
troppi concerti da vedere, troppe cose da imparare perchè io mi
rivoltassi tra due coperte. De Ville era protetto dalla sua personale
E Street Band, una gang dai cognomi greci (Margolis, il tastierista,
che apre questo "Love and emotion" con parole di sincera
emozione e rimpianto e porta forse il soprannome francese "perla")
e italiani (Cortellezzi, sassofono dal suono caldo e poderoso come
quello di un altro Mr.C).
Il cantante era compresso in un abito
in gabardine di due taglie più piccolo, incedeva elegante e ogni
tanto batteva i tacchi sul mio tavolo come fosse un tanguero e non un
rocker. Aveva tutte le carte in regola per cantare le storie che
scriveva, storie degenerate made in Alphabet City, la zona di New
York dove le avenue sono la A la B, la C e la lingua degrada verso
uno spagnolo pieno di vizi, il nuyorican.
Zambellini intitola "Stranger in
town", come un album di Bob Seger, uno dei capitoli più densi
di questo volume, quello che accende le luci sul momento in cui
quella magnifica band e il suo leader, dopo tre alcum eccitanti che
stanno alla loro carriera come il triple shot "Greetings/The
Wild/Born to Run" sta al Boss, furono pronti per incrociarsi con
il talento e le esperienze di tre uomini che non li trovi all'angolo
di una strada, nemmeno a New York. Se era vero, come scrisse Robert
Palmer, il critico del New York Times e di Rolling Stone, e come
opportunamente queste pagine riportano alla memoria, che all'epoca De
Ville "aveva le canzoni, aveva la voce e aveva la band",
era altrettanto vero che gli mancava ancora un passo per aspirare al
gradino più alto della scala rock della Big Apple, sia pure in
coabitazione con altri adorabili ceffi. Gli serviva tutto ciò che
portarono Ahmet Ertegun (la Atlantic, mica poco), Jack Nitzsche (un
ritorno, era presente sui primi due dischi, sua la corresponsabilità
insieme a Spector del Wall of Sound) e il tecnico del suono Thom
Panunzio (gli inizi a Hit Factory con Lennon, poi "Easter"
di Patti Smith e "Darkness" di Bruce) a un disco tosto e
urbano come "Coup De Grace", che culla ancora oggi alcune
tra le più significative composizioni di De Ville: "Teardrops
Must fall", "Maybe tomorrow", proprio "Love and
emotion".
E poi quella "You better move on"
che dal nero Arthur Alexander era finita nel 1964 in mano ai
bianchissimi Rolling Stones, secondo un processo di assimilazione del
blues e del rhythm'n'blues che Willy conosceva essendo proprio la sua
strada. Eppure a pagina 10 di questo libro si scopre, grazie alla
penna e alla memoria di Margolis, che De Ville non aveva una grande
opinione dei gruppi della British Invasion, addirittura "li
odiava, dai Beatles ai Rolling Stones, dagli Yardbirds agli Who,
odiava tutti tranne Van Morrison".
Potrei rivelarvi altro mentre "Help
me make it (power of a woman's love)" mi riporta su il
retrogusto di quegli anni in cui dalle auto in sosta nei vicoli di
New York mi capitava spesso di ascoltare alcuni tra i miei artisti
preferiti, e dunque, insieme a De Ville, Tom Petty e Graham Parker,
il Boss e il suo protetto Gary U.S. Bonds, David Johansen e Garland
Jeffreys, non tutti nati lì ma tutti insieme abbracciati nel
forgiare un suono unico grazie al gusto delle loro eccezionali band.
Potrei saltare alla pagina 75, dove si
racconta della fuga di Willy e della sua donna a New Orleans.
Potrei rispolverare insieme alle pagine
che seguono altri dischi bellissimi e diversi arrivati negli anni
Novanta da questo indimenticato ed eccentrico chansonnier con la
Gibson al collo.
Potrei scivolare nella tristezza degli
ultimi giorni di vita di questo fenomeno poco conosciuto, quando il
suo palco era forzatamente il divano di casa e il repertorio ancora
quello giusto (i Drifters).
Concluderò invece invitandovi a
cercarlo e comprarlo questo libro, e a provvedere all'acquisto di
alcuni dischi sulle cui tracce queste pagine vi metteranno
inevitabilmente.
Se poi siete dei nostri, un ripasso
non fa male.
E' bello incrociare un'emozione unica,
un flusso costante di adorazione e rimpianto, nelle parole di chi ha
steso con pazienza e amore questa storia (Zambellini) e in quelle di
chi ha curato la prefazione (Kenny Margolis) e le postfazioni (Marco
Denti e Blue Bottazzi).
Amore ed emozione non è un titolo
speso a caso.
Those were the days.
LOVE AND EMOTION
La storia di Willy De Ville
di Mauro Zambellini (Pacini Editore)
160 pagine, 16,00 euro.
3 commenti:
Hai proprio ragione, la New York degli anni 70/80 purtroppo non tornerà più ma vivrà sempre nei nostri cuori con le sue canzoni, i suoi dischi, i suoi personaggi, i suoi
locali e soprattutto le sue storie raccontate da questi formidabili cantanti.
Tu hai pubblicato un bellissimo libro sui cantautori (Like a rolling stones), sarebbe
bello leggere un libro musicale su questa città.
Ciao.
Ovidio
P.s.: ogni tanto ci incontriamo ai concerti a Milano o in giro per il mondo a vedere Bruce e ci salutiamo (io tra l'altro sono amico di Fulvio Felisi e Fulvio Fiore e di altre persone che conosci bene anche tu).
P.p.s.: Io questi dischi su e di New York li ho tutti però mi piacerebbe che tu mi fornissi qualche nome veramente minore da andare a scovare e amare subito.
grazie Ermanno, splendida, poetica e stradaiola recensione. Arricchisce il libro anche se non è direttamente nelle sue pagine, fa venire voglia di leggerlo e di ascoltare ancora la musica di Willy. Oltre a ricordare momenti della nostra formazione musicale e quella New York che non è un immenso shopping store per turisti come lo è oggi. C'era pericolo, c'era urgenza, c'era poesia, c'era il rock n'roll. C'era Willy. Grazie.
)))((((((
(·)...(·)
....v....
.[____].
Posta un commento