domenica 23 dicembre 2007

DUE AMERICANI A PARIGI - il tour di Bruce Springsteen a Bercy, 17 dicembre 2007


Years ago, when the '80s were about to fade and Bruce Springsteen had put his recording career and the beloved E Street Band on hiatus, yours truly and Elliott Murphy sat on a evening train heading north, with Rome a couple of hours behind us. I had asked him to produce some young rockers from Modena, just a few miles from where Luciano Pavarotti used to live. "They sound like Tom Waits, and Bruce. I dig that. I gotta give it a try," he had written back weeks earlier.

Trying to stay awake to avoid missing our stop, we came once again to our favorite subject: Bruce Springsteen. "He's so good, since the days when we were young kids, sharing the same dreams," he said, sipping a strong Italian espresso.

"What do you think makes him so good?" I asked.

"He's so good at being himself. That's a quality that makes you last forever," he replied, before adding, "but the hardest part of this business it's not just being good, it's about being good and being able to last".

Quality, integrity, the ability to endure. I think I always admired Bruce Springsteen for the same reasons Elliott Murphy does. And when something you believed in for more than half of your life starts becoming unsteady, and you find yourself a man who "doubts what he's sure of," it's like losing your way home. Not that Bruce Springsteen suddenly lost what made him better than anybody else in the rock 'n' roll business, but recently, for some reason, I felt that some of that magic was gone. Maybe you shouldn't see your favorite artist performing more than 150 times. Maybe you should live every show like it's going to be your last. But how can you convince yourself that he's not touring so extensively -- and ending tours in football stadiums -- just for the money? How can you get rid of that prejudice?


Just go to one of his shows. It's as simple as that. His eyes don't lie. He's enjoying every second he's on stage so much, he still makes you want to tell everybody else what they've been missing if they've never experienced an E Street Band show.

In Paris, I was thinking all of this, and enjoying immensely the best "Jungleland" I've heard in years (Clarence, you've gotta be kidding, you were pre-recorded for this one, right?) when Elliott Murphy hit that stage and joined his old pal for "Dancing in the Dark." All of a sudden, those words of Elliott's resonated in my ears: "it's about being good and be able to last".


The Omnisports Palace in Bercy got one of those nights when you'd like to go home, take a little nap, and start again in search of that beauty and that endurance. It's not about the set list (yes, yes, it was basically the same as a few previous shows) -- I mean it's not about what he plays: it's how he plays it. Bruce Springsteen was so focused, so strong and happy, he blew the roof off. Great help came from a very tight E Street Band that's getting better and better through this second leg.

It was obviously good to hear "Long Walk Home" with both Nils Lofgren and Steve Van Zandt adding their vocal skills, and it was so refreshing to find "The River" and its melody so intact. A powerful rendition of "Night" proved once again why Born To Run is such a classic album. But it's the approach that should scare any other performer in the universe.

Except Elliott Murphy, who seems to have learned a lot about standing the test of time.

di Ermanno Labianca, tratto da www.brucespringsteen.net

venerdì 14 dicembre 2007

CANZONE PER TE - Appunti di musica leggera: 1957-2007 - Ermanno Labianca con Sergio Bardotti (prefazione di Fiorella Mannoia)


Irene Grandi dice che “canta le canzoni antiche” perché di belle come quelle di Bruno Martino e Mina in giro non ce ne sono. Fiorella Mannoia nella sua nuova raccolta di successi ha voluto reinterpretare Sergio Endrigo (“Io che amo solo te “) e Francesco Guccini (“Dio è morto”). Vasco Rossi ha riportato in classifica “La compagnia” di Lucio Battisti, del quale ora spuntano due inediti. Le canzoni degli anni Sessanta e qualche scampolo dei Settanta sono serviti mesi fa a Claudio Baglioni per mettere in cantiere un intero disco. Giovani e meno giovani di casa nostra si aggrappano ancora a quelle suggestioni, e non è un caso se nel recente album omaggio a Sergio Endrigo le canzoni del grande autore istriano siano finite nelle corde di Simone Cristicchi e Morgan, due tra i migliori talenti “freschi” della nostra canzone d’autore.


C’è un altro Sergio, che di cognome faceva Bardotti, che diventa destinatario di un omaggio di commovente bellezza. Glielo offre Ermanno Labianca, con un bellissimo libro-intervista che nel tracciare 50 anni di vita professionale del paroliere di Pavia, scomparso l’aprile scorso, finisce col sorvolare mezzo secolo di canzoni italiane. Canzoni che oggi vengono spesso fatte a brandelli dalla tv, sezionate, editate, trattate come stacchetti o eterni, immobili, revival. Quelle canzoni – molte delle quali firmate proprio da Bardotti: “Occhi di ragazza”, “Piazza grande”, “Canzone per te”, “La voglia la pazzia l’incoscienza l’allegria”, “ Ed io tra di voi”, “La casa”, “Se perdo te” – hanno una storia. Ma anche i loro interpreti hanno una storia. Quell’epoca – tutta - è una bella storia da preservare e portare con noi in questi giorni difficili per chi vive di dischi. Labianca e Bardotti condividevano l’attività di autori televisivi ma soprattutto un amore per la musica e per il dettaglio che questo prezioso libro lascia esplodere in otto capitoli che esplorano il rapporto forte tra Italia e Brasile (Ornella Vanoni, Vinicius De Moraes, Chico Buarque De Hollanda), ed anche gli anni in cui Luigi Tenco frequentava il Piper, e quelli in cui a Lucio Battisti nemmeno 29 settembre, fresca di registrazione, strappava un sorriso pieno. E ancora, tra queste pagine, meravigliosi indizi sull’ascesa di Lucio Dalla e su quella notte in cui Fabrizio De Andrè e i New Trolls bevvero da non reggersi in piedi. Tutte storie dei miti della nostra musica che “Canzone per te” (il titolo arriva dal brano con cui Endrigo e Roberto Carlos, con Bardotti, vinsero il Festival di Sanremo 1968) mette sotto chiave ad uso delle prossime generazioni.
Di Fiorella Mannoia la preziosa e commossa prefazione di questo libro che è una generosissima cesta piena di aneddoti.

dal Radiocorriere TV n.50 del 12 dicembre 2007

----------------------------------------------------------------------------------

La prefazione di Fiorella Mannoia a "Canzone per te", di Ermanno Labianca con Sergio Bardotti

Faccio fatica a ricordare quella canzone di oltre trent’anni fa di cui Sergio Bardotti scrisse il testo. Io stavo cercando una mia strada nella musica leggera italiana, lui era già quello di “Piazza Grande” e “Canzone per te”. Il 45 giri, “Piccolo”, non portò gloria a me, e nulla aggiunse a lui. Ma si inizia per arrivare da qualche parte: io non rinnego nulla e credo neanche lui. Il mio percorso è fatto di canzoni sparse, scelte con cura, quella cura che ripongono in esse gli autori. Ho sempre cercato di farle mie solo quando le sentivo mie. Mi sono sentita un po’ autrice, senza esserlo quasi mai. Per questo, dicono, ho un rapporto speciale con chi le canzoni le scrive.
Anche se non è mai più capitato che Sergio prendesse un foglio per riempirlo delle parole che io avrei cantato, la sua e la mia strada non sono poi state così divergenti in tutti questi anni. Non è stato il mondo della televisione, che lui ha frequentato molto e io molto poco, a favorire la convergenza ma il Brasile. Lui ha portato tanto Brasile in Italia quando io il Brasile lo sognavo e basta. Poi ho iniziato a maneggiare il rosario delle canzoni più belle che quella terra ci ha dato e non mi sono fermata più. Prima Chico Buarque, che per Sergio Bardotti è stato un fratello minore, poi Caetano Veloso e altri mi hanno accompagnata in una ricerca appassionata che mi ha condotto fino alla realizzazione di un intero album rivolto a quella terra magica, a quel popolo che sopporta con orgoglio differenze brutali che spezzano il cuore.


Ora penso a te, Sergio, e riascolto quei dischi che hai prodotto per fare comprendere anche a noi cosa avevi scoperto laggiù, tanto tempo fa. Convinta che la morte ti abbia trattato con un sorriso, come tu hai sempre trattato la vita, rileggo, e canto, un testo di Vinicius De Moraes da te tradotto. Dice “è un telegramma, viene senza avviso e ti cattura, ma tu passa per la morte senza paura”.
E’ andata così, ne sono certa.